venerdì 9 settembre 2011

una foglia d'insalata

Il mio parto. Dopo mesi trascorsi a leggere, studiare, scrivere e commentare tra libri, internet e perfino ricerche universitarie, sempre e solo sul tema del parto (e non sulla puericultura, per esempio... su quando la bambina sarebbe arrivata, sul dopo-parto!), il giorno naturalmente è arrivato anche per me. La biologia non si interessa molto di cosa hai letto.

Il mio parto - temuto, immaginato, filosofeggiato, preparato, organizzato e scongiurato - è infine arrivato ed è successo, come per tutte. E poi è passato via. Due piccoli giorni schiacciati come insalata in un panino, tra i favolosi
nove mesi di una gravidanza senza ombre, e l'infinità della Vita che è cominciata dopo, promessa quotidiana di futuro e però anche tempo intenso e impegnativo, totalizzante nella relazione tra me e mia figlia, e nella relazione tra questa relazione e il resto del mondo, della vita, che continuano a essere, ma contano semplicemente un po' meno. Relazione mamma-figlia = misura di tutte le cose. Ed è bello, sempre bello avere un punto di riferimento, un centro: bisogna ammettere che rende più bello tutto il resto.

Ma sto divagando.
Certo. Perché il parto, il mio parto, ormai è la foglia d'insalata nel panino. Un po' spiegazzata e intrisa di maionese (non me la nego, ora che l'allattamento mi fa consumare più calorie di un nuotatore). Ed è difficile ora tirare fuori questo pezzo di verdura, risciacquarlo e guardarlo in filigrana. E' tutta una questione di prospettive, anche il dolore, anche il dolore immenso, il più forte della tua vita. E' difficile raccontare, anche perché il tempo per scrivere non è più quello di prima: e si capisce, ricordiamoci cosa diceva Virginia, lei e la sua stanza tutta per sé, e poi l'abbiamo vista nel film The Hours vagare per casa e campagna scrivendosi Mrs Dalloway nella mente, scrivendo anche mentre non scriveva. Se avesse avuto una topolina di un mese accanto nella culletta, ogni parola avrebbe pesato diversamente - e anche la libertà di scegliere le parole, col tempo che richiede, sarebbe parsa un grande lusso.

Il mio parto, però, lo ricordo bene, e voglio raccontarlo prima che la memoria si affievolisca. E' difficile anche perché più di ciò che è accaduto e di come mi sono sentita, conta il significato che ho dato a ogni istante e ogni parte di quella esperienza. Significato fatto inevitabilmente di riflessioni. Riflessioni che si sono allacciate a quelle fatte, lette, studiate, scritte, commentate... nei mesi prima. E riuscire a scrivere tutto questo nel rispetto del tempo
dell'allattamento e della relazione mamma-bimba, e che abbia un inizio e una fine. Il compito spaventa. Ma buttiamoci, proviamo e basta.

Il mio parto.

Il mio parto è stato un parto da manuale della primipara. Nella media, naturale, fisiologico e vaginale. A termine: contrazioni cominciate il giorno stesso della dpp, parto avvenuto due giorni dopo. Durata del travaglio: due giorni di prodromiche tipo doloretti mestruali (facevo tutto, passeggiate, gelato, mestieri...), dieci ore di travaglio vero e proprio, un'ora e mezza di espulsione. Ritmo della dilatazione, ottimo e costante. Intoppi, nessuno. La bimba mi ha aiutato a spingere, o meglio si spingeva, voleva nascere. Niente cordone arrotolato o posizioni strane, era perfetta. E' uscita tutta grigia,
con una strisciolina di sangue sulle dita della mano sinistra, un'aria serena, ha cominciato a piangicchiare poco dopo. Niente episiotomia, due punti di sutura per la leggera lacerazione, poi la piccola si è attaccata al seno... Simone piangeva nel modo più unico che esisterà mai nel mondo. Quel che sentivo io non provo nemmeno a scriverlo, deve restare ineffabile, fuori dalla portata delle parole.


Tutto qui, sembrerebbe. A conti fatti, a ben vedere e leggere, un parto fortunato anzi fortunatissimo. E ora invece vi racconto la realtà.

No, non ho mentito: quel che ho raccontato è tutto vero. Anche se ho omesso qualche dettaglio "medico": che ho fatto l'epidurale, che ha fatto (quasi) cilecca, che dunque avevo addosso cateteri, flebo, monitoraggi e che, senza che ve ne fosse alcuna necessità, mi è stata somministrata l'ossitocina sintetica.

Tutte queste cose non hanno reso il mio parto meno fortunato.

Tutte queste cose non hanno reso il mio parto fortunato né più, né meno atroce, tremendo, spaventoso, gigantesco, tempestoso, massacrante, rivelatorio e illuminante, crudele e spietato, ingestibile e indomabile, imparagonabile a qualunque cosa abbia conosciuto nella vita, impossibile da dimenticare, impossibile da perdonare, impossibile da odiare.

Le doglie prodromiche erano, come ho detto, doloretti mestruali. Ma diversi, perché intermittenti. Durante la notte erano forti abbastanza da svegliarmi, così per due notti di seguito non ho dormito quasi. Durante il giorno invece facevo tutto normalmente. Di contrazioni in gravidanza ne avevo sempre avute e dunque non ero spaventata. Però avevo capito che queste erano quelle preparatorie, quindi mi ero disposta mentalmente. Avevo paura. Più che mai dopo aver letto e studiato, e concluso che con ogni probabilità avrei sentito un dolore tremendo, e senza sapere se avrei voluto chiedere o meno l'epidurale (a dire il vero, avevo anche un po' paura di trovare ostetriche anti-epiduraliste che mi avrebbero forzata a farne a meno). Avevo paura e avevo esplorato la mia paura in lungo e in largo a parole col mio compagno e con le amiche. Però a un certo punto, poco prima di quei due giorni, avevo ripiegato la paura e le parole scritte, lette e parlate, e le avevo usate come una pila di coperte su cui sedermi comoda a respirare, meditare, aspettare, stare.

Durante la seconda notte le contrazioni hanno cominciato a farsi più forti, Simo e io abbiamo iniziato a contare gli intervalli e la durata. Mi sono messa nella vasca da bagno, ci sono rimasta un'oretta - non avvertivo significativi cambiamenti. Fuori dalla vasca, stavo sul letto coricata di fianco, e quando arrivava la contrazione mi tiravo su e mi mettevo a quattro zampe. Respiravo. Da un certo momento non respiravo più, gridavo. Avevo fatto una lezione di canto carnatico a yoga, e letto Leboyer, e negli ultimi giorni della gravidanza mi ero
ricordata perfino di mettere su il CD allegato coi canti su cui esercitarsi. Ma posso stare sicura che, se anche non avessi fatto nessuna di queste cose, io durante le contrazioni avrei comunque vocalizzato dei suoni. Mi veniva spontaneo, era semplicemente la cosa più ovvia. Quel che meglio mi consentiva di gestire il dolore con tutto il corpo e con la mente. Il suono era una vibrazione viscerale che nasceva nel corpo e si affiancava ai movimenti viscerali del
travaglio, rendendoli meno crudeli. La percezione acustica del suono che emettevo copriva leggermente la percezione del dolore. Mi sentivo bene. Faceva male, ma era gestibile. Ero emozionata, gasata, adrenalinica. Sorridevo a Simone steso nel letto accanto a me, che un po' aspettava sospeso di capire se stava davvero succedendo, un po' riusciva a dormire (e io gli raccomandavo di farlo, perché dopo avrei avuto bisogno anche delle sue forze...).

Alle 4 le contrazioni erano regolari, ogni 7, 6, 5, 4 minuti. Da quel momento, secondo la raccomandazione dell'ostetrica dovevamo aspettare due ore per partire per l'ospedale.

Dopo un'oretta sento arrivare una contrazione, mi metto carponi, l'onda cresce, comincio a emettere una A. Quando arriva il culmine, sento una piccola esplosione nel ventre e il rumore di un gavettone che si schianta a terra: scoppio a ridere perché capisco che mi si sono rotte le acque, ma la sensazione è una novità, una sorpresa. Ci siamo, dico a Simo, e usciamo e partiamo.

Poi c'è un siparietto di indecisione sull'ospedale: avevo scelto quello a 40 minuti di distanza, per l'epidurale gratuita 24h su 24. Ma il giorno prima ero stata nell'ospedale della mia città per un controllo, distava solo 5 minuti da casa e il personale era decisamente più amabile... oltretutto ci lavorava la mia ginecologa. Sento le contrazioni che si fanno sempre più dolorose e ravvicinate ed ecco il dubbio di tutte le partorienti: non è che se mi metto in viaggio, partorisco in macchina?... quindi l'idea di andare nell'ospedale vicino mi tentava... e poi mi sentivo bene, forte, mi pareva di riuscire a dominare il dolore, se era tutto lì ce la facevo benissimo senza epidurale! Poi, con uno sforzo di razionalità, non fosse altro che per il corso preparto andato a seguire lontano ogni settimana per due mesi e per tutta la documentazione letta... decidiamo per l'ospedale più lontano.

Poi c'è il secondo siparietto, a metà strada, 5 e mezza del mattino, via di campagna, deserto totale: ci accorgiamo di aver lasciato a casa la cartella con tutta ma proprio tutta la scheda della gravidanza, le analisi e il resto del materiale medico... E io ormai gridavo dal dolore, più che vocalizzare. Alla fine ci ha salvati la mia amica e padrona di casa, con un mazzo di chiavi extra e con la voglia di non bestemmiare per essere stata svegliata all'alba con la richiesta guidare fin lì e venire a portarci la cartellina scordata.

E poi ci sono i siparietti mala-sanità: minimi nel mio caso a confronto con ciò che si sente, e con ciò che è capitato a due ragazze del mio corso preparto solo pochi giorni prima e dopo il mio parto... eppure comunque allucinanti.

Ho travagliato da sola per mezz'ora nel corridoio, su una panchetta, in attesa di essere ammessa all'accettazione. Per sfortuna di chiunque fosse nei paraggi e con mia grande soddisfazione, gridavo come un maiale sgozzato, antropologicamente e geneticamente diversa da qualunque partoriente con del senso del pudore, che si trattiene per non spaventare, o per vergogna. Io gridavo peggio che potevo. Gridare mi faceva stare meglio, in qualche modo.

Poi, ho travagliato un'altra oretta nello studio del ginecologo, che doveva visitarmi, non prima di avermi sottoposta a una sorta di allucinogena e interminabile intervista su: quali malattie hai avuto? e i tuoi familiari? mai fatto interventi chirurgici? allergie? codice fiscale? altezza? peso? ecc. (NB: TUTTE queste informazioni mi erano già state chieste ed erano già state registrate al mio ingresso in ospedale due giorni prima).

Più o meno a metà di questa situazione tipo STASI nello studio del ginecologo, mi sono accorta che dovevo rimettere, mi sono voltata, ho visto un lavello, ho preso la mira e via. "Bene, è buon segno! Vuol dire che ha contrazioni", ha commentato il ginecologo, che invece speravo sotto sotto di disgustare almeno un po', tanto più che di avere le contrazioni me ne ero accorta anche senza vomito.

Erano presenti le due ostetriche che mi avrebbero seguita per quasi tutto il travaglio: Antonella, una quarantenne tracagnotta e rosea dall'aria da tata severa, dai modi sbrigativi ma anche dotata di molto buonsenso, e Nicoletta, una ragazzona sicuramente più giovane di me che sembrava uscita dal torneo scolastico di pallavolo, nuova di quell'ospedale, e perciò ignara di procedure, dosaggi, funzionamento dei macchinari, cose per le quali doveva chiedere costantemente delucidazioni. Antonella e Nicoletta, voglio ricordarmi i loro nomi.

Nicoletta è stata quella che non riusciva ad accendere la vasca nella quale avrei dovuto teoricamente travagliare, ed è stata quella che più tardi, quando pregavo che non mi somministrassero l'ossitocina, ha detto: "No, ora basta aspettare", e ha fatto partire la flebo. Eppure non la biasimo, forse perché penso di averle causato un danno permanente ai timpani, a furia di strilli.

Antonella invece è stata quella che, a 4 cm di dilatazione, mentre Nicoletta ancora armeggiava invano col pomello della vasca, mi ha chiesto se, siccome ero
"ufficialmente in travaglio" forse non desiderassi bypassare la faccenda della vasca e chiedere direttamente l'epidurale: e il mio SI' convinto e sereno, in quel momento, è stato, per quanto mi riguarda, l'ultima e definitiva parola a conclusione di tutto il dibattito filosofico partonaturalista vs. medicalizzazione a cui tanto animatamente, e sentendomi combattuta, avevo partecipato per nove mesi.

C'era stato un momento, da qualche parte tra la cartellina perduta e la flebo di antibiotico che dovevano farmi perché entrassi in vasca (nonostante fossi negativa al tampone... ma perché avevo rotto le acque), in cui il dolore è diventato troppo acuto per poter essere qualcosa da gestire o dominare. Era diventato semplicemente più forte di me: e continuava a diventare sempre più forte di me. Non era più una lotta alla pari, appassionante da combattere. Non era più una partita avvincente, in cui è bello misurarsi per vedere chi vince.
Lui aveva già vinto.

Lui, il dolore.

E non aveva vinto perché sono una donna debole. Non aveva vinto perché non avevo fatto gli esercizi per il perineo, o perché ero troppo tesa, o perché respiravo male.

Aveva vinto perché sono un'animale. Perché siamo tutti animali, e se ce lo scordiamo è perché siamo occidentali e la techné e la cultura sono dalle nostre parti a un livello tale da farci scordare che la vita è sofferenza. Il dolore aveva vinto perché la biologia così voleva da quei famosi milioni di anni, nettamente in vantaggio rispetto alle poche migliaia di anni di civiltà e alle poche centinaia in cui parte della popolazione terrestre usa l'acqua calda, i vestiti comodi e le scarpe, le fonti energetiche, i cibi prodotti industrialmente, i mezzi di trasporto e i medicinali. Il dolore aveva vinto perché tutti moriamo, e questo succede ancora anche a noi occidentali, sebbene qualche volta - qualche volta - in modo meno doloroso.

Così era perché così doveva essere.

E questa è la lezione, questa è la parte in cui "il parto è illuminante" e "il dolore è illuminante". Ben sapendo che tante persone anche occidentali, donne e uomini, vivono nella vita altre esperienze, che non siano il parto, immensamente dolorose e prostranti che gli insegnano grossomodo la stessa, ovvia verità.

Ho avuto la mia lezione, e non ho esitato un secondo a chiedere l'analgesia. Controsenso? Niente affatto. E la ragione mi pare così auto-evidente che non voglio nemmeno stare a spiegarla. Ma la benedetta partoanalgesia ha funzionato solo su metà del mio corpo, per la prima oretta. E mentre il dolore risaliva nella seconda ora, mi hanno piazzato un inutilissimo syntocyn per velocizzare le
contrazioni: salvo accorgersi dopo, che la dilatazione aveva proceduto più veloce di prima, anche con quella mezza epidurale. Così, mentre le famose contrazioni artificiali cominciavano a trapanarmi col loro dolore non crescente, a onda, come le doglie naturali, ma improvviso e lancinante come una coltellata, un mestissimo anestesista cercava di raddrizzarmi il catetere. Facendo, evidentemente, peggio di prima.

Perché da quel momento, di analgesico non c'è stato più nulla. Solo dolore, dolorosissimo dolore da travaglio, e io che respiravo e urlavo, aggrappata a una ostetrica o a Simone, slogandogli i polsi da quanto forte glieli torcevo, e pure dandogli un disperato pugno sul petto a un certo punto. Dolorosissimo, normalissimo dolore da manuale, e la dilatazione che procedeva bravissima, e il mio corpo che faceva il suo lavoro in barba a tutto e tutti, e io che me ne fregavo totalmente sia del personale medico e ostetrico (alla fine mi sono
spogliata nuda), sia del monitoraggio che avevo addosso, i fili, i tubi, le menate varie, non mi cambiava nulla, nulla e nessuno avevano il potere di peggiorare o migliorare il dolore, che era l'unica cosa di cui io mi occupassi, travagliando solo e rigorosamente all'impiedi, chinandomi sulla sedia e premendo con le braccia e le mani quando arrivava la contrazione, spaccando vetri con le mie urla. Non ero per niente indispettita dal fallimento dell'epidurale: e chi aveva il tempo di sprecare l'energia a indispettirsi, ogni risorsa mi serviva
solo per sopravvivere psicologicamente al dolore. Dovevo arrivare alla fine e per fortuna conservavo da qualche parte la consapevolezza che nonostante l'orrendo dolore, stava andando tutto bene, non c'era niente che andasse male.

La sfiducia, invece, è arrivata in espulsivo. Non credevo in me stessa. Quando ho sentito che dovevo spingere e, dopo la conferma dell'ostetrica che visitandomi ha decretato i trionfali 10 cm di dilatazione, mi sono messa a gambe aperte sulla sedia da parto, temevo di non riuscirci. Stavolta non dovevo solo sopportare e restare viva, ma attivamente portare fuori mia figlia. E ogni spinta mi pareva inefficace. E inoltre non capivo più dove cominciavano e dove finivano le contrazioni, ero immersa in un unico assordante bordone di dolore
che mi impediva di accorgermi dei picchi, quelli in cui avrei dovuto spingere spingere spingere, e nel punto giusto, non in quell'altro (da cui invece usciva, ovviamente, quel che doveva, siccome ero reduce da 5 giorni di stitichezza). E così chiamavo Simone e l'ostetrica per nome chiedendo, dopo ogni spinta: come sono andata? Ma sta andando bene? Cosa devo fare per migliorare? E Simone mi mentiva, dicendo che si vedeva la testa, e mi incitava come allo stadio, e l'ostetrica tradiva tensione quando spingevo male, ma speranza quando spingevo
bene. E tutto era assolutamente doloroso, più doloroso della dilatazione, e spingere nel dolore per me non era spingere via il dolore, ma fare un supremo sforzo di volontà per spingere *nonostante* a ogni spinta mi sentissi esplodere una supernova tra il collo e le ginocchia.

E poi, è uscita Anna, grigia e già bellissima, e io non ho sentito alcun senso di estraneità come accade ad alcune mamme, ma è stato semplicemente colpo di fulmine.

Due parole anche sul puerperio. Mah, forse sarà che io non ho mai fatto interventi chirurgici, ma per me la spossatezza indicibile, la febbre, e dovermi occupare della bimba da sola la notte e far partire l'allattamento, i punti, il sangue, l'impossibilità di urinare e defecare per giorni senza un cateterino o l'acqua fresca e mezz'ore di acrobazie varie o le supposte di glicerina, e tutto il resto, sono stati veramente brutti e pesanti. Parlano di baby blues, ma l'unica cosa non-blues, l'unica fonte di gioia di quei momenti è proprio la
baby, o almeno così è stato per me.

Un'ultima cosa sull'epidurale. Un effetto me l'ha fatto: mi ha addormentato la gamba destra. Così il giorno seguente, per pisciare ecc. avevo anche questo problemino. Per fortuna l'Apgar di Anna era 9/10, l'allattamento fin troppo promettente ecc. E nonostante la cilecca e la gamba addormentata e l'illuminazione filosofica, al secondo figlio rifarò l'epidurale, e spero che funzioni.

Ci tengo a dire ancora che lo yoga è stato la mia salvezza. O meglio, non tanto il mesetto di yoga preparto che avevo seguito, seppure si trattasse probabilmente di uno dei migliori corsi d’Italia, ma l’ho frequentato troppo poco. È stato il modo in cui sono riuscita a fare tesoro di quell’unico mesetto, grazie a tutta la mia storia di studi corporei in danza, teatro e occasionalmente meditazione. Quella è la vera risorsa che ho attivato per restare centrata e solida seppur sopraffatta, quella, e forse ancora di più una fiducia determinata nell’istinto, che è innato in tutti, ma quando è allenato è meglio. Ma questa preparazione, per un eventuale prossimo figlio, cercherò di
farla fruttare ancora meglio, anzi, se c’è un consiglio che vale la pena di dare alle donne che devono partorire è di allenare seriamente e per mesi, meglio anni, il bacino e i muscoli coinvolti nella spinta con una vera preparazione, e non con gli esercizietti per il perineo dell’ultimora: per avere un’espulsione più efficace, rapida e probabilmente meno dolorosa, per lacerarsi meno, per riprendersi più rapidamente dopo (la sensazione di “sfondamento” che si avverte per due settimane dopo il parto è davvero debilitante). E tutto questo non vale meno, comunque, in previsione di un’epidurale: primo, perché a 4 cm almeno di dilatazione, bisogna comunque arrivarci senza analgesia, e secondo perché l’espulsione è un momento totalmente attivo anche se analgesizzate: è la donna che deve spingere, deve farlo con tutte le sue forze e nessuno può farlo per lei. Di quella forza serve ogni grammo, e chi più ne ha, più ne metta.

Del mio compagno ho detto poco perché il suo supporto, il suo ruolo e il nostro essere insieme in questa esperienza meriterebbe un racconto a parte, lungo quasi quanto questo. Di certo, il fatto di condividere questa situazione, in tutti i suoi anfratti più scuri e su tutte le sue vette più trionfanti, con il tuo partner che è genitore, con te, della persona che sta nascendo, unisce a un livello di profondità prima non immaginato - sembra una banalità, ma è proprio quel che ho sentito.

Ho scritto questa storia di getto, ho riletto insieme a Simo, che mi ha ricordato decine di cose che ho omesso o che avevo proprio scordato. Le lascio fuori, però, e soprassiedo sullo stile che sarebbe migliorabile, sui prevedibili errori.

Questo racconto è quel che è rimasto di commestibile e nutriente, della foglia di insalata.

Tutto il resto è già in via di digestione.

Tullia

5 commenti:

  1. Tullia, è il tuo racconto non è vero? Sono felice che tutto abbia preso un senso, mi sembra che infine l'esperienza ti abbia lasciato un bel ricordo. Complimenti e congratulazioni, a tutti e tre! :D

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  2. Ops! Sì e' il racconto di Tullia, aveva messo il suo nome all'inizio ma volevo metterlo alla fine, e poi mi sono dimenticata. Correggo subito. Ciao!

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  3. Mi colpisce che Calenda l'abbia classificato col tag 'bello', e che anche Close vi legga un bel ricordo! Il ricordo forse infine è bello/brutto o meglio al di là del bene e del male, di certo non propriamente 'bello', tanto che fino a pochi giorni fa escludevo categoricamente l'ipotesi di un secondo figlio. Succede a tutte, direte, poi si scorda. Probabile, infatti, come ho scritto, il ricordo del parto alla fine resta schiacciato tra la gravidanza e la vita insieme alla superbimba e perde intensità. Però su una cosa, evidentemente, nel mio lungo racconto non sono stata per niente chiara: il dolore è stato ORRENDO :( :( e questo, NONOSTANTE il parto da manuale, nessuna complicanza, il supporto enorme del mio compagno, la preparazione spirituale e la parziale efficacia dell'epidurale. Cioè, figuriamoci un po' come poteva essere anche solo se, per dire: mi lasciavano a travagliare 9 ore sola in stanza (accaduto a una mia amica il giorno dopo, stesso ospedale), avevo ostetriche isteriche e crudeli, si bloccava il travaglio, nemmeno un'oretta di analgesia, mi facevano qualche manovra tipo kristeller e io ero in preda al panico. Tutte complicanze abbastanza frequenti e NON tra le peggiori.

    Più chiaro il messaggio, adesso? ;)

    Grazie comunque di aver pubblicato e letto!

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  4. ...e'stato molto interessante, e soprattutto sinceroo e vero. Quando potrai raccontaci del tuo compagno, vorrei tanto sapere cosa pensa un uomo in quei frangenti. Ciao auguri a tutti.

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  5. Ciao Tullia, scusami allora per la seconda volta, avrei dovuto chiederti per bene nella mail di risposta ma effettivamente il tuo racconto mi sembrava portare in pieno questo sentimento qui, leggendo che nonostante il dolore orrendo da qualche parte sapevi che tutto andava bene, e che per tua figlia hai avuto il colpo di fulmine.

    Che tag useresti?

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