venerdì 18 novembre 2011

mille nuove molecole umane

La gravidanza era tranquillamente a termine.

Dico “tranquillamente” perchè tra la 34esima e la 40esima settimana sappiamo che il feto è comunque “giusto”, senza problemi di immaturità né di vecchiezza, né di eccesso di peso. E io transitavo proprio al centro di queste 6 settimane di discrezionalità.

Quella mattina, molto presto, salutai il marito che mi teneva d'occhio, per quanto poteva, ma intanto seguiva i suoi impegni altrove, molto altrove: in Inghilterra in Turchia e altri posti ancora, ma mai a casa o vicino dietro l'angolo.

Non ci contavo, peraltro... Sarà perchè ho dei cromosomi antiquati o perchè ho una sorella ostetrica, ma la gravidanza e il parto per me sono cose di donne.

Appena partito lui la giornata rese una piega imbarazzante e in tutta solitudine per me, poichè abitavamo in una cittadina diversa da quella dei nostri parenti stretti. Non lontano, ma non la stessa.

Cominciai a correre in bagno in preda a conati di vomito e premiti addominali subentranti , e con quei dieci-dodici chili in più di pancia che non potevo appoggiare da nessuna parte come se fossi stata a un “fil rouge” di Giochi Senza Frontiere.

In una pausa di questo sport andai a consolarmi e a consultarmi con la mia vicina di casa: << Proprio a termine di gravidanza doveva capitarmi la gastroenterite... Ma dove l'avrò presa che faccio vita strettamente domestica? Accidenti che sconquasso.....>>

La vicina, gentile, mi passò dei fialoidi di fermenti lattici per risistemare l'intestino.

A fine giornata e a tempesta spontaneamente calmata, telefonai la mie lamentele e perplessità anche a mia sorella.

E lei: << Ma questa che mi racconti è una tempesta ossitocica ! Vai subito a farti valutare in Ospedale !>>

Tempesta ossitocica?
E non ho partorito???
Mi sono svuotata di tutto tranne che della mia bambina!!!
E ora come faccio? Mi sarà rimasto qualche ormone utile dopo la tempesta?

In Ospedale furono imprecisi: mi sarebbe convenuto rimanere, ma non ero propriamente in travaglio.

Rientrai a casa per incontrare mio marito e per preparare la borsa da Ospedale.

Crisi ossitocica o gastroenterite che fosse stata, quel cataclisma viscerale durato una giornata mi aveva lasciata molle e grigia come uno straccio del pavimento, con febbricola e dolori ovunque. Presi una bella aspirina per togliermi di dosso quel malessere e stramazzai addormentata intorno alla mia pancia sproporzionata, immensa, una valigia non sganciabile.

Il mattino dopo, presto presto, un altro aereo da prendere per lui. Rassicurai Luigi: << Tutto passato, ora sto bene , qualunque cosa sia stato ieri ora tutto tace. Vai pure.>>

E ricominciai a dormire con buon tempo davanti a me e ottima ragione per farlo.
Quando mi svegliai, qualche ora più tardi, avevo “marcato” l'inizio del parto" e non solo: stavo anche “perdendo le acque”.

Mi misi in piedi contando sul fatto che il feto, quando si è in posizione eretta, si comporta come un tappo in quell'anfora rovesciata che è l'utero.
Evitai di inciampare nella paura.

Cominciai a bere, diligentemente, per reintegrare il liquido amniotico che stavo perdendo e e i fluidi che avevo perso il giorno prima con la “tempesta”.

Telefonai a mia sorella che era riuscita a tenersi libera per me in quel periodo e che sarebbe arrivata entro un paio d'ore.

Mi presentai dal mio parrucchiere fiduciosa che essendo un giorno qualunque non avrei trovato coda e forte dell'urgenza. Tornai a casa con un taglio ben corto per presentarmi ordinata al pubblico, che non avrei potuto evitare, e ben pratico per il periodo complicato che si stava aprendo.

Mi affidai volentieri alla sorella, provvidenziale, ostetrica.

Anche la borsa da Ospedale le affidai : non ero riuscita a completarne una in tutti quei mesi. Fare la valigia o la borsa da Ospedale è come confezionare un racconto, per me. Non riesco a scegliere cosa è meglio mettere, cosa lasciare a casa. Le ostetriche invece sanno tutto: quali panni e pannolini, quanti cambi completi. Quanti bottoni hanno le camicie da notte. Quali documenti e numeri di telefono.

L'analisi logica in quel primo parto, intanto continuava: dopo la tempesta a cielo sereno.

Poi la “rottura delle acque”.

Ora la progressione lenta delle contrazioni fini a diventare doglie.

Altre 24 ore ho impiegato per svolgere la fase delle contrazioni fino al al travaglio vero e proprio, quello coi dolori così forti e frequenti che non riesci a compiere alcuna attività organizzata, neanche a bere.

Mia sorella fece un ultimo controllo più tecnico poi mi condusse in ospedale e rientrò in un ruolo solo parentale di compagnia e di rassicurazione.

Di ossitocina qualcosa mi era rimasto e sufficiente per il buon procedere del parto. Dovetti metterci molta diligenza e un'ulteriore dose di analisi logica nello spingere volontariamente sull'onda delle contrazioni, perchè per gli automatismi viscerali, quelli che avvengono anche tuo malgrado e che avrei provato col secondo parto, di ossitocina non ne avevo avanzata.

Arrivò il momento più spaventoso in tarda mattinata: la mia bambina, annidata per mesi sotto il mio stomaco, "atterrò" dall'interno, sul mio perineo.

Ebbi l'impressione di potercela fare solo rompendomi in mille brandelli.

Dovetti ripensare che tutti siamo nati passando per quello stretto - se e quando Dio vuole - , alla bontà della mia anatomia, ai racconti di mia madre fatti di dolore, ma anche di cose andate per il meglio.

Mi riconcentrai sulle persone che mi stavano intorno, al loro mestiere.

Mi affidai a loro e alla storia dell'umanità che passa tutta dal perineo.

In capo a una manciata di minuti anche l'espulsione andò a buon fine, senza brandelli né tagli: incredibile !

Mi presentarono la mia bambina.

Con immensa scocciatura fino all'indignazione per la quantità di dolore patita, immenso sollievo per non essere esplosa non ostante la discrepanza di proporzioni, immensa stanchezza tanto che non volli impegnarmi a tenerla con me “skin to skin" su quel lettino tanto “ostetrico” e così poco da famiglia e con grande curiosità osservai la piccola Laura: non aveva alcuna maniglia, pomello, guinzaglio per poterla agguantare e tenere e trasferire via con me comodamente come invece avveniva fino al giorno prima, nella comoda valigia della mia pancia.
Era tonda, serena, perplessa.

Somigliante come una fotocopia al suo papà: con la barba sarebbero stati identici.

Era iniziata la fase gassosa della nostra coppia, in cui nuove grandi molecole umane con sembianze simili alle nostre cominciavano a diffondersi, urtarsi, incrociarsi, attrarsi e respingersi in giro per il mondo.

Piè

(ndr: la piccola Laura è una donna fatta, adesso)

(post originale)

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