venerdì 9 marzo 2012

Ti è piaciuto sì, ti è piaciuto?

Maria incomincia il suo racconto dandoci immediatamente tutti gli elementi per comprendere, ora per allora, la sua paura e la sua angoscia (Maria oggi ha 42 anni!). Si commuove di fronte al ricordo di lei giovanissima, quasi a giustificare la inadeguatezza di cui si sente ancor oggi colpevole:
“Avevo 17 anni, ero piccola, il primo figlio, mia madre mi accompagnò in ospedale perchè avevo i dolori”.
Dice: “Avevo 17 anni” e subito arriva sulla scena la mamma che la protegge.

“Avevo i dolori” è molto più incisivo, più autentico che non dire “ero in travaglio”: i dolori sono i dolori da parto, non possono essere confusi con altri dolori quasi come se si scandissero con tutte le lettere maiuscole: I  D-O-L-O-R-I,  ad ogni lettera una contrazione. Sinonimo di potere, di vigore, di forza. Perché ‘i dolori' hanno qualcosa di sacro, non è il dolore adoperato al singolare e che può essere suggestivo di un qualsiasi stato di sofferenza. Per ‘dolori’ s’intendono esclusivamente le contrazioni del parto. Il termine dolori sembra sottolineare la capacità espulsiva dell’utero, quindi il potere dell’evento, sacralizzato dal miracolo di una nuova vita e dalla forza espiatrice della sofferenza.


Il racconto continua: “Non fecero restare mia madre, anzi quasi non mi volevano ricoverare, ma mia madre posò in terra  la valigia e disse che avrebbe chiamato la polizia se non mi avessero ricoverata. Mi ritrovai da sola con i dolori e cominciai a chiamare l’ostetrica, che però non faceva altro che ripetermi che era presto, era presto, fu così che mia figlia nacque nel letto. Mentre ero poi sul lettino da parto mi continuava a ripetere: ‘Ti è piaciuto sì, ti è piaciuto?’. Non si dice così ad una ragazza di 17 anni. Ma poi seppi che quella ostetrica non aveva avuto figli, sono certa se li avesse avuti, lei avrebbe capito  il mio dolore”.
Condivido non la certezza, ma certo la speranza di Maria.

Mi piace proprio qui ricordare la scena del parto di Ida tratta da La Storia di Elsa Morante:

(...) e presa dal panico, senza nemmeno preannunciarsi con una telefonata, si mise su un tram verso l’indirizzo della levatrice.
Mentre saliva la lunga scala di costei, le doglie le aumentavano fino a diventare terribili. Fu Ezechiele in persona che venne all’uscio; e lei non più capace di dare spiegazioni, appena entrata si buttò su un letto gridando: “Signora, Signora, Aiuto!”
E cominciò a torcersi e ad urlare mentre Ezechiele - pratica e rassicurante - andava liberandola dei vestiti. (...) il parto non fu né lungo né difficile.
E quando, dato l’ultimo urlo, la partoriente giacque finalmente libera, sommersa dal proprio sudore come da un mare salato, la levatrice annunciò: “Un mascolillo!”
Finché non fu in grado di muoversi Ida rimase in casa di Ezechiele, che per lasciarle il letto si aggiustò per sé un materasso in cucina, sulla terra.

(Roberta Arsieri e Rosa Papa, Stringo i denti e diranno che rido. Laccidentato percorso della nascita, Guida, Napoli 2003)

4 commenti:

  1. "la forza espiatrice della sofferenza"...se lo leggesse Gekina... :-D

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  2. Scherzi a parte: non mi è piaciuta per niente questa storia. Né per quello che racconta(ma a quando risale la storia? anni '70?) né, soprattutto per il tono. se non ricordo male Rosa Papa è una ginecologa (non conosco l'altra autrice) molto attiva a Napoli - l'ho trovata spesso in quel genere di eventi organizzati da-donne-per-donne - e spero che questo racconto sia solo uno degli aspetti della sua esperienza narrati nel libro, sarebbe un peccato se fossero tutti di questo tenore, e, soprattutto, con questo punto di vista

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  3. Già :) secondo te Matrioska da dove origina la concezione della 'specialita' del dolore ostetrico? Secondo me, più di tutto, dalla difficoltà a trovare una tecnica per sconfiggerlo. Dall'abitudine a doverci convivere. E le abitudini sono dure a morire, ma in genere entro un paio di generazioni il salto è compiuto...

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  4. Secondo me origina dal fatto che è associata alla nascita di un essere umano, da qui il concetto di sacralità (ricorderete l'espressione "sacralità della vita", i dolori diventano sacri perché sono associati ad una nuova vita, che è sacra).
    E quindi secondo il nostro modo, cristiano/occidentale di intendere il sacro, ci deve essere qualcosa che ci permette di "espiare" per avvicinarci. Il concetto di fondo è che una donna che non soffre non si merita di accedere al sacro, di avere un figlio. E' empio volersi sottrarre al dolore.

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