sabato 7 settembre 2013

me l'hanno accostato al viso

Oh ma che fine ha fatto Nina?
Niente, tuttapposto, si è solo trasformata in un distributore automatico di latte.
 Sai com'è quando si segue il regime della Tetta On Demand no? No. O meglio lo immaginavo, per sentito dire, ma passarci è tutta un'altra storia. Io non credevo sarebbero state così dirompenti queste prime 'quasi 3 settimane'.
Ci devi passare per capirlo, davvero. Non c'è più spazio per altro che non sia lui. Non c'è più tempo per me, per noi. Io non esisto più, ora c'è solo lui coi suoi bisogni. Sembra retorica, una bella frase fatta, ma è proprio così. E i primi giorni non sono stati affatto facili, no, per niente.
Ho avuto attimi di vero sconforto, ore di terrore puro, di incapacità di gestire lui e le mie emozioni. Volevo fuggire, mollare tutto. Ma poi restavo sempre perché dentro, in fondo al cuore, so che è così che deve andare, che è tutto normale.
E poi c'era Lui al mio fianco a sostenermi e a smezzare la terribile fatica che un esserino così minuscolo comporta. Chi l'avrebbe mai detto che pochi centimetri di bimbo urlante e fagocitante potessero mettermi così in crisi.
Sono tornata a casa dall'ospedale e in contemporanea mi ha fatto visita una Montata Lattea stratosferica.
Piangevo dal dolore. Simone piangeva per la fame e io dietro a lui perché avevo le tette così gonfie che non riuscivo ad attaccarlo. Volevo morire. Ero sola con la mia incapacità e non sapevo cosa fare. Ero terrorizzata. Da tutto, anche dalle mie reazioni. Questo stato emotivo è durato per diversi giorni.
Di tanto in tanto è venuta l'ostrica a darmi una mano, consigli utili, strategie e modalità per far fronte a tutti i problemi grandi e piccoli, le paure, i dubbi e soprattutto per aiutarmi ad avviare l'allattamento.
Che tu pensi sia una cosa naturale, che viene da sè, invece no, devi lavorarci su: posizione e attacco.
Ricordo il mio senso di inadeguatezza. I voglio la mia mamma. Il sonno, che si accumula notte dopo notte. Lui che non vuole altro che il mio seno, senza soluzione di continuità e io bloccata per ore ed ore, senza poter fare altro, nemmeno pisciare.
E poi le ragadi, i capezzoli che mi fanno urlare dal dolore. Allattare doveva essere un idillio e si trasforma in un incubo. E' tutto così difficile, a tratti impossibile e non era così che lo avevo immaginato. Avevo in mente qualcosa di più naturale e immediato, ma quello, ora lo so, viene dopo.
Prima c'è la conoscenza, lenta, l'adattamento agli enormi sconvolgimenti. Il metterti a disposizione, completa, totale. Annullarti, dimenticare i tuoi bisogni, tutti e imparare a posticiparli. Andare al bagno, mangiare, bere, dormire, tutto secondario. Prima viene lui. Imparare anche a demandare, a chiedere aiuto, ad ammettere che da sola no, non ce la puoi fare. E piangere ancora e ancora e chiederti perché non ti sta scoppiando il cuore dalla gioia come avevi sognato. I sensi di colpa, se piange, se è nervoso, se si agita è colpa mia. Non lo amo abbastanza. Io non sono abbastanza. Ma l'amore assoluto e puro, anche quello viene dopo. Almeno per me è arrivato adesso. Adesso che sto trovando un nuovo equilibrio, fatto di scelte attive e accettazione dei miei limiti. Adesso che mi sento più sicura e il seno non fa più male e riesco a nutrirlo senza soffrire. Adesso che ogni tanto lui dorme di più e riesco a riposare. Adesso che usciamo, passeggiamo. Adesso che lui sembra guardarmi e interagisce e sorride. Adesso che, dopo l'uragano, io comincio a rendermi conto davvero, a realizzare. Adesso che lo guardo e penso che mi sto innamorando di un amore sconosciuto e folle, che sale e cresce piano piano, come la marea.
 E mi inonda il cuore.

 Non ho avuto un parto semplice. Non ho avuto il parto che avevo desiderato. Ma si impara anche questo, guardando il proprio capolavoro: a capire che è secondario, che quel che conta davvero è averlo qui sano e salvo. Lui 4,4oo kg alla nascita, per 53 cm di lunghezza.
Io che non ho avuto il privilegio di provare la gioia di partorirlo, perchè neanche l'ossitocina mi ha fatto effetto. Lui che non ne volava sapere di uscire. Io che avrei voluto un parto naturale e mi sono dovuta piegare al cesareo. Ma si supera anche questo, che in fondo, mi sono detta, è un po' il nostro Karma: così come me l'hanno dovuto mettere dentro i medici, alla fine me l'hanno anche dovuto tirare fuori. Ironia della sorte. Mi aiuta a sorridere e a prendere la cosa con filosofia. In sala operatoria ricordo sorrisi, le parole rassicuranti dell'anestesista che mi spiega passo passo quel che mi stanno facendo, quel che sta avvenendo al di là del telo. Perché vuole che io ricordi quel giorno come il più bello della mia vita, in cui sono stata attiva, con gioia, anche se non è stato il parto sognato e desiderato. Sento spingere sul mio ventre addormentato, sento smuovere, premere e tirare, ma senza dolore e mi focalizzo su quelle sensazioni, immaginando che sia quello il mio modo di darlo alla luce, che sia quello che fattivamente sto facendo, l'equivalente delle contrazioni che non ho conosciuto e delle spinte che non ho potuto compiere. Quello è il nostro gioco di squadra, mi ripeto. Io ci sono, sono presente e tra poco sentirò anche lui. E finalmente dopo pochi minuti arriva: Il suo pianto. E inizio a piangere anche io e guardo l'anestesista dolcissima e esclamo: 'E' Lui! E' Lui! Lo sento!'. Poi ricordo che l'ho visto passare, e singhiozzavo forte, senza ritegno. E poi l'attimo che, dopo averlo lavato, me l'hanno accostato al viso. Non l'ho potuto toccare, avevo le mani bloccate. Lui piangeva, disperato, io anche piangevo, di un'emozione mai provata prima. Ed è stata quella, nuova e inattesa, che mi ha spinto col viso verso il suo: muso a muso, come due animaletti. Ho chiuso gli occhi, ho iniziato a odorarlo, a succhiargli le guance, quasi a leccarlo come una mamma leonessa col suo cucciolo. Non lo avevo previsto, mi è venuto così, d'istinto. Bisogno di assaggiarlo, di annusarlo. Lui si è fermato, è stato lì, così, a farsi strusciare e succhiare, senza piangere. Lo stupore del personale, anche quello ricordo, come fosse incredibile che un bimbo trovi la pace a contatto con la sua mamma. E l'hanno tenuto ancora un po' accanto al mio viso e io che non smettevo di sussurrare: 'Amore Mio sono qui. Amore Mio sono qui. Tra poco ci ritroveremo. Tra poco saremo insieme di nuovo. Aspettami'. E poi l'hanno portato giù al nido. Venti minuti per ricucire me, forse mezz'ora. Tempo infinito e dilatato. Tempo che non passa mai. Voglio Lui. Voglio Simone. Devo attaccarlo al mio seno. Una nuova urgenza sconosciuta, mai provata prima. Voglia di riunirmi a lui, come non poter più fare a meno della sua pelle, del suo odore. Quell'odore io non lo scorderò mai più. E finalmente mi hanno portata giù e c'erano tutti i miei parenti e gli amici e c'era anche Lui, che aveva visto passare il suo nuovo amore e aveva pianto lacrime dolci. Ora rivedeva me, ci toccavamo. E io ridevo e salutavo ma il mio pensiero era fisso su un punto preciso, non riuscivo a pensare ad altro: datemi Simone, dov'è? E' con me che deve stare. Era un misto di dolore, all'idea di saperlo separato e lontano da me e di eccitazione, perché stavo per ricongiungermi a lui. Le infermiere mi hanno detto se volevo aspettare che finisse l'orario di visita dei parenti per vedere Simone (non fanno stare bimbi e parenti nella stanza insieme, anche se c'è il rooming-in), io non ho avuto un attimo di esitazione: mandate via tutti e portatemi mio figlio. Mio Figlio. Due parole che suonano nella mia bocca in un modo che non so descrivere. Quel giorno sono nata anche io. Quel giorno è nata una madre. E poi ore interminabili di noi. Notti attaccati appiccicati. Lascialo a noi, al nido così puoi riposare, hai fatto il cesareo, DEVI riposare. No, io non posso stargli lontano, io riesco a dormire solo se ce l'ho qui tra le mie braccia. Nonostante gli aghi e le flebo e la cicatrice e il dolore. Qui, con me. E' questo il suo posto. E' questo il mio. E al quarto giorno ho avuto il latte. Dolore e gioia immensa. E poi siamo arrivati a 3 settimane, così dense che già mi sembrano mesi. Frenetiche, piene dei suoi bisogni da scoprire, da soddisfare, da capire. I suoi pianti così difficili da interpretare. La sua bocca che cerca me giorno e notte. Le sue manine e i suoi piedini. Lui e suo padre insieme. I suoi sorrisi, già al quinto giorno di vita. I suoi versetti. Il suo nasino. Il suo istinto cieco che non sente ragioni. Lui, solo Lui, sempre Lui. Ma questo è l'inizio di un'altra storia, un'altra vita che vi racconterò, con le parole, con le foto che abbiamo scattato. Ora riesco solo a dire che: E' meraviglioso e terrificante. E' bellissimo e spaventoso. E' tutto. Lui il mio Tubo Digerente, la mia Idrovora, il mio Vecchietto, il mio Mandrillo, il mio Minuscolo, il mio Pezzettino, il mio Angioletto, il mio Stronzetto, il mio Pivellino. E' così bello, così tenero e piccolo, così indifeso, così mio eppure così altro da me, che mi si scioglie il cuore.

 * Postilla: questo post è stato scritto per gentile concessione di Simone che per buona parte del tempo ha dormito, poi si è stanziato sul cuscino, attaccato alla mia tetta sinistra, senza fare una piega. Senza la sua collaborazione tutto questo non sarebbe stato possibile, sia chiaro :) NinaCerca (post originale)

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