giovedì 2 giugno 2011

non vorrà mica partorire con quella faccia

È qui vicino a me. Mi trotterella intorno, mi chiama con quella vocina dolce che sa diventare imperiosa e furente quando vuole imporsi e difendere le proprie ragioni. Un furetto biondo, intelligente e vivacissimo, sempre indaffarato e perennemente in movimento. Mi guarda con gli occhi furbi e già so che sta per combinarne una delle sue. Gli invidio tutta quell'energia, quella inesausta volontà che lo sorregge in ogni situazione e gli permette di tener testa tranquillamente - si fa per dire - al fratello maggiore nelle inevitabili dispute quotidiane.

Ripensare alla sua nascita, diciotto mesi dopo, per raccontarla così come avevo fatto per la mia prima esperienza di maternità, è stata un'occasione che ho colto volentieri, ma che mi è costata, inaspettatamente, una certa fatica. Il diario del mio primo parto l'ho scritto di getto, a caldo, per me sola, ed in seguito, soltanto dopo alcuni anni, ho deciso di pubblicarlo. Questa volta invece il percorso è stato fatto, per così dire, all'incontrario. Il mio secondo parto non l'ho scritto per me stessa, spinta dal desiderio di fissare sulla carta quell'esperienza meravigliosa ed esaltante.

Non l'ho mai scritto.

Fino ad ora.

Non mi ero mai chiesta il perché. Adesso, dopo averci ripensato a lungo, ne comprendo fino in fondo il motivo. Nonostante l'esito felice - il fatidico "È andato tutto bene" che si comunica a parenti ed amici - c'era qualcosa che non andava.

Una nota stonata.

Una punta d'amaro in bocca.

Anche se non c'erano state difficoltà. Anche se il bambino - grazie al cielo! - era bello e sano.

Qualcosa, pur nella gioia infinita di stringerlo tra le braccia e vederlo per la prima volta, mi ha impedito di vivere pienamente quel momento.

Adesso ne sono consapevole.

Ma andiamo con ordine. Mancavano pochi giorni al termine presunto per il parto. Ero tranquilla, anche se un po' affaticata: l'estate era stata particolarmente calda e afosa, ma in quei primi giorni di settembre l'aria si era fatta più leggera e mi sentivo meglio.

Quella sera mio marito stava mettendo a letto il bambino, li sentivo scherzare mentre mi preparavo a rivedere Camera con vista di Ivory in televisione. Mi ero appena seduta sul divano, quando ho sentito un movimento del piccolo più forte degli altri, seguito subito da quel BLOP interno che, la prima volta, mi aveva addirittura svegliata nel cuore della notte. Ho capito immediatamente.

- Massimo, potresti venire un momento? -

È apparso in salotto con un'aria sorniona ed interrogativa. Aveva già capito anche lui.

- Ci siamo?

- Credo si sia rotto il sacco anche questa volta... -

Ormai ci sentivamo molto esperti e non abbiamo avuto bisogno di conferme. Dovevamo organizzarci, il nostro pensiero predominante era rivolto a Rocco, il figlio grande. La prima cosa che abbiamo fatto è stato telefonare ai nonni. Eravamo d'accordo che, per permettere a Massimo di starmi vicino durante il travaglio, il bambino si sarebbe trasferito da loro. Era già in pigiama e si è molto eccitato per il cambiamento di programma. Mentre io gli preparavo la borsa con il necessario per trascorrere fuori casa qualche giorno - senza dimenticare l'orsacchiotto, giornalini e giochi preferiti - il papà lo stava rivestendo di tutto punto.

Anche questo nuovo bambino sarebbe stato veneziano. Con una testardaggine che ha sempre stupito tutti, avevamo deciso, nonostante le difficoltà pratiche, di farlo nascere a Venezia. Un modo per non rinnegare le nostre radici, per non rassegnarci alla scelta obbligata di aver cercato casa in terraferma, di essere stati espulsi, come tanti - troppi - dalla nostra città.

Si doveva organizzare quindi il breve viaggio. A quell'ora - erano le nove di sera - non è stato difficile accordarsi con l'ospedale Civile di SS. Giovanni e Paolo per avere un motoscafo che ci aspettasse a Piazzale Roma. Il decremento demografico serve almeno a questo... ad ottenere un'ambulanza in tempi ragionevoli!

Alle nove e mezza arrivarono i nonni. Salimmo tutti in macchina e tutti insieme, come per una gita, ci ritrovammo sulla riva del Canal Grande, di fronte alla stazione ferroviaria, dove già ci aspettava la lancia dell'ospedale. Fino a quel momento Rocco era stato tranquillo, anche se un po' elettrizzato dall'atmosfera insolita. Nel vedermi salire sul motoscafo insieme al papà ed all'immancabile valigia, forse avrà pensato di avermi persa per sempre. Gli avevamo spiegato che stava per nascere i fratellino e che la mamma aveva bisogno di essere aiutata dal medico... ma naturalmente, a tre anni e mezzo, non è facile capire.

Non voleva lasciarmi andare. Mentre il motoscafo si allontanava l'ho visto farmi ciao con la manina, lui - così piccolo - sempre più piccolo su quella fondamenta.

Mi sentivo bene: dolori non ne avevo; ero tranquilla e serena, confortata dal ricordo della mia prima esperienza di maternità. Ne ripercorrevo le tappe, con nostalgia quasi, mi sentivo pervasa da un'estrema fiducia nella natura e, per una volta tanto, nelle mie capacità. Massimo si godeva lo spettacolo della laguna, ogni tanto mi sorrideva affacciandosi alla porta della cabina.

In breve fummo in reparto. Ormai conoscevamo l'ambiente: il caso aveva voluto che l'ostetrica di turno fosse la stessa che mi aveva assistito quando era nato Rocco. Tutto si ripeteva come in flashback. Il silenzio della notte, la penombra della sala travaglio dove ero l'unica partoriente, la tranquillità di chi mi stava intorno, tutto contribuiva a creare un'atmosfera serena e positiva. Mentre stavamo completando la cartella clinica ed io ero già collegata al monitor che doveva registrare le mie contrazioni ed il battito cardiaco del bambino, telefonò la ginecologa che mi aveva seguito durante la gravidanza. Eravamo d'accordo che sarebbe intervenuta, al momento del parto, soltanto se io lo avessi ritenuto necessario, nel caso, ad esempio, fosse capitato di turno un medico di cui non mi fidavo. Prima di uscire di casa l'avevo chiamata per avvisarla che, invece, non ce n'era bisogno (mi ero informata: in reparto quella sera sarebbe stato di turno un medico che conoscevo - col senno del poi: non abbastanza!), ci saremmo viste l'indomani a cose fatte. Mi fece enormemente piacere che si fosse comunque preoccupata di parlare direttamente col collega. Deve avergli detto che mi lasciasse tranquilla, che desideravo un parto naturale, senza fretta - cioè senza ossitocina - perché ad un certo punto l'ho sentito dire - Sì, sì, non ti preoccupare, ho già capito il tipo... -

Alla prima visita mi dissero che l'utero aveva già cominciato ad appianarsi, c'era soltanto un centimetro di dilatazione. Questo succedeva alle undici meno un quarto circa. Le contrazioni erano molto dolci, le sentivo appena, non c'era quasi bisogno di far ricorso al training respiratorio, perché le sopportavo benissimo. Stavo bene, ero serena e sorridente, con mio marito vicino, e il medico mi diceva le solite cose.

- Ci vorrà del tempo, siamo all'inizio, le contrazioni non sono ancora efficaci... -

Gli raccontai che il parto precedente era stato molto veloce, tra travaglio ed espulsione neanche un'ora e mezza, che le contrazioni erano deboli più o meno come queste, che tutti, medico compreso, si erano stupiti per la facilità con cui avevo partorito. Si mise a studiare il tracciato del monitor e concluse: - Guardi che però queste contrazioni sono molto irregolari. Secondo me, per non farla soffrire inutilmente, con un po' di ossitocina le stabilizziamo e le rendiamo efficaci. -

Io non soffrivo affatto ed ero contraria - lo sapeva - all'uso indiscriminato della flebo. Ne discutemmo un po' e poi lui mi concesse del tempo.

- Aspettiamo ancora, vediamo se si regolarizzano da sole. -

Nel frattempo chiacchieravo con Massimo che si era seduto accanto al letto di fronte al monitor.

- In effetti è vero che le contrazioni sembrano debolucce, si vedono appena, come l'altra volta. - Era diventato anche lui un esperto nella lettura dei tracciati.

Decidemmo in via definitiva il nome da dare al nostro bambino. Sapevamo già dall'ecografia che era un maschio e da quel momento divenne Bruno, un nome che allora mi sembrò troppo grande per quel battito tranquillo che sentivamo amplificato nella stanza. Stava dormendo, le contrazioni non lo disturbavano, il tracciato del suo cuoricino era regolarissimo. Dopo appena un quarto d'ora - tanto tempo mi era stato concesso! -, senza nemmeno visitarmi per vedere se nel frattempo la dilatazione era progredita, il medico decise di applicarmi la flebo. Non ero d'accordo e glielo dissi, non vedevo tutta questa necessità di intervenire. Con calma, ma senza possibilità d'appello, mi mise di fronte a questa scelta: - Se si rifiuta, sarò costretto ad applicare la sonda per verificare un'eventuale sofferenza fetale. Le contrazioni continuano ad essere irregolari e deboli, in fondo il dosaggio di ossitocina sarà minimo, appena sufficiente a stabilizzarle. -

Poi la buttò sul ridere (che risate...!): - Non vorrà mica partorire con quella faccia, no? -

Insomma ero troppo tranquilla, troppo distesa, troppo sorridente: in ospedale si deve partorire con dolore, come da anatema biblico, perché non mi volevo rassegnare?

Per finire, il sottile ricatto: - Se poi il bambino ne dovesse risentire, si assume la responsabilità? Guardi, si fidi di me, è molto meglio intervenire adesso, etc. etc. -

Non me la sentivo di intavolare una trattativa in quel momento, mi sembrava così assurda quella discussione che alla fine, d'accordo con Massimo, gli dissi di fare come voleva, bastava che mi lasciasse in pace, dopo.

Saranno state le undici e cinque, non di più.

Ricordo perfettamente la sensazione dell'ago della flebo in vena e, dopo pochi secondi, la prima, improvvisa contrazione pilotata. Un'esplosione di una violenza che mi ha lasciato senza fiato, il training respiratorio mi ha aiutato a sopportarla, ma appena finita quella iniziò una serie continua ed ininterrotta di contrazioni sempre più forti e sempre più ravvicinate. Non riuscivo nemmeno più a parlare, cercavo di rilassarmi e come risultato ottenevo soltanto quel poco di autocontrollo che serve per non urlare. Dopo nemmeno dieci minuti quella bomba chimica ho sentito la prima contrazione espulsiva, ma forse per la rapidità con cui si stavano evolvendo le cose, non l'ho subito riconosciuta, mi sembrava impossibile di essere già arrivata alla fase delle spinte.

Mi avevano visitato neanche mezz'ora prima quando avevo appena un centimetro di dilatazione, erano riusciti a convincermi che le mie contrazioni non servivano a niente, come potevo dopo dieci minuti di flebo essere già a quel punto? Non controllavo più la situazione, non riuscivo a capire cosa mi stava succedendo, mi sentivo dominata da una forza che mi era del tutto estranea, come se fossi stata drogata. Quella prima spinta ha liberato il grido che avevo trattenuto fino a quel momento. Ma è servito; forse avrei dovuto gridare molto tempo prima. Ero stata troppo sorridente, serena, rassicurante; nessuno tra il personale medico mi aveva preso sul serio. Una partoriente che si rispetti deve trasfigurarsi, gridare, magari maledire il marito, comunque deve platealmente dimostrare un dolore insopportabile.

Appena ho lanciato quel segnale, tutti si sono occupati di me. Ho trovato il fiato, non so come, per dire all'ostetrica che credevo di aver avuto la prima spinta, ma mentre glielo stavo dicendo ne è sopravvenuta un'altra ancora più forte. Se ne deve essere accorta perché mi ha detto di contrastarla.

- Non spinga signora, prima dobbiamo verificare la dilatazione! -

Per fortuna sapevo come fare. Tanti piccoli soffi brevi e cadenzati come per spegnere ad una ad una le candeline sulla torta. Dopo la visita (dieci centimetri di dilatazione in un quarto d'ora: questo è stato il brillante risultato della flebo) tutto si è svolto in un lampo.

In un attimo mi hanno trasportato in sala parto e in meno di cinque minuti, con altre due o tre spinte, alle undici e mezza è nato Bruno. Si è svolto tutto così rapidamente che ne ho un ricordo molto confuso. Ormai ero stata espropriata delle mie sensazioni, dei miei tempi, la mia volontà era stata soggiogata da una volontà esterna che aveva catturato anche la mia capacità emotiva. Sono stata brava - me lo dico da sola - a mantenere comunque quel minimo di lucidità che mi ha permesso di non soccombere alla tentazione di lasciarmi andare. Ho governato le spinte come sapevo di dover fare.

Bruno è nato senza problemi, tranquillo e roseo, ha respirato subito, e l'ho sentito, caldo e umido, sulla mia pancia frenare il primo timido pianto.

Ma un'esperienza così importante, unica ed irripetibile, è stata irrimediabilmente deteriorata da chi si è arrogato il diritto di gestirla unicamente come un evento medico. Mi rendo conta, ora pienamente, di come troppo spesso la partoriente venga considerata una paziente qualsiasi, come se fosse malata, oggetto di cure e non invece, soggetto attivo e determinante. Tutto si sarebbe potuto svolgere con più calma, con maggiore consapevolezza e serenità, come era successo la prima volta.

Bruno poteva aspettare.

Annalisa Bruni (c) “Istar” Rivista Multidisciplinare sulla Nascita, 4 (2), 1991

9 commenti:

  1. che violenza assurda! e nulla si può dire perchè "è andato tutto bene!", poi saremmo noi, donen paranoiche, che ce l'abbiamo su coi medici maschi che ci espropriano del parto ...
    mi spiace tanto, non sei l'unica ad acer subito questa violenza, concediamoci di chiamarla così, perchè di questo si tratta.
    Il tuo racconto mi ha riportato alla nascita della mia bimba, due mesi fa ... stessa storia, alle 8 di sera il giencologo che entrava di turno ha deciso che dovevo sbrigarmie ntro mezzanotte per mandare a casa mio marito a riposare. Ho cercato di oppormi ma anche a me il sottile ricatto sulla salute di Elisa, stava benissimo ma... quanto ancora sarebeb stata così con contrazioni irregolari?
    solo che io non me la sono cavata in un'ora ma in 4 di contrazioni allucinanti, sofferenza fetale per contrazioni troppo forti, Elisa tirata fuori a suon di spinte sulla pancia e una grande taglio. Questo nell'Ospedale più famoso della mia città, dove si va in tante perchè sono bravi e attrezzati per tutto. La prossima volta voglio partorire altrove, se possibile a casa mia.
    Spero di superare questa rabbia, al più presto. per fortuna Elisa è splendida e guardarla mi aiuta tanto.

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  2. Ciao, grazie del tuo commento. Avresti voglia di scrivere il tuo racconto? Puoi farlo anche qui se vuoi, oppure via email :)
    E benvenuta Elisa!!!

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  3. Grazie! Allora ci provo ...
    era il giorno preciso della scadenza, la mattina sono andata a fare il controllo, c'era il mio gine che mi ha sssicurato che ci sarebeb statao per tutta la settimana, per cui di stare tranquilla.
    Alle 12 inzio a sentire i primi doloretti, lo chiamo, mi dice di aspettare ad andare in Ospedale; resisto sino alle 19 ma poi lo richiamoe dico che vado. Lui mi dice che ha già avvertito il suo collega di turno eche comunque lo avviserà lui quando sarà il momento.
    Fiduciosa vado. Mi vista il ginecologo suo amico, che era sceso apposta all'accettazione, vedo l'ostetrica che fa facce strane quando lui mi dice che con due goccine partorisco in un battibaleno perchè sono già un po' aperta e ho i tessuti morbidi. Io in effetti non vorrei,e dico che preferisco un travaglio naturale. Lui mi fa portare su in Sala Parto, mi fa mettere il monitoraggio, dopo un quarto d'ora ritorna e mi dice che va bene, ma che le contrazioni sono irregolari e che la bambina, se va avanti troppe ore così potrebbe stancarsi. Mio marito mi guarda e io anche se vorrei un parto naturale, cedo. So che l'ossitocina fa venire contrazioni fortissime, come ci avevano detto al corso preparto, tanto che si dovrebbe fare l'epidurale se c'è l'ossitocina. Lì la fanno, la Mangiagalli è l'Ospedlae più famoso di Milano, quello dove la fanno senza problemi e senza menate naturalistiche. La chiedo, ma il dottore mi dice che vediamo come vanno le prime contrazioni regolarizzate dal farmaco, perchè secondo lui in un battibaleno partorisco.Dopo nemmeno 10 minuti inizia l'inferno vero e proprio, sono bloccata aletto dal monitoraggio, col cavolo le posizioni che al corso ci avevano detto che aiutavano a sopportare i dolori, a letto se no si perde il battito!, cerco di trattenermi ma dopo poco non riesco a non urlare quando arriva il dolore: allucinante, e poi una via l'altra, senza poter tirare il fiato. L'ostetrica mi dice di calmarmi, cerca di rassicurarmi, le cheido l'epidurale, mi dice "Ok hai ragione, adesso chiamo il medico che chiama l'anestesista".

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  4. seRientra dopo poco il medico, mette un guanto, mi visita senza troppo complimenti, anche se l'ostetrica gli dice di aspettare un attimo. Mi ravana dentro anche mentre ho la contrazioen e credio di morire dal dolore, l'ostetrica brontola qualcosa al medico, ma lui dice a tutti "Ancora un attimo di pazienza e partorisce, non serve l'anestesista". Io piango disperata, vi giuro mi sono sentita violentata, l'ostetrica che va avanti e indietro perchè siamo in tante a partorire, cerca di calmarmi, è molto dolce, ma si vede che è il medico che decide tutto. Le contrazioni sono sempre più vicine e io mi stacco il monitor per la disperazione, ho quasi una crisi isterica. Torna l'ostetrica, me lo rimette su pazientemente, sta un po' lì con me aiutandomi a respirare, ma poi dice che deve chiamare il medico eprchè secondo lei va diminuita la flebo eprchè le contrazioni sono troppo forti e vicine. Torna il emdico incazzatissimo, di nuovo una visita allucinante con l'ostetrica che diceva: "Aspetti ...", dice che posso spingere, che devo spingere con energia perchè la bambina sta un po' soffrendo e deve nascere. L'ostetrica si veste, chiamano i pediatri. Io sono in tilt dal dolore delle contrazioni e della visita e non riesco a spingere. l'ostetrica fa per alzarmi lo schienale del letto e farmi puntare i piedi per spingere meglio, ma il medico le urla Basta con le tue c...." e urla a me, "Signora spinga!" Mio marito cheide che venga chiamato il mio gine, ma il emdico dice che è già avvistao di tutto, ma che ormai nasce e non c'è tempo. Poi si mette a fianco ame e mi schiaccia la pancia, ma non riuscendo con la mano, si butta addosso con tutto il peso del suo corpo, sempre urlandomi di spingere. Vi giuro che anche adesso ceh scrivo mi viene da piangere, perchè non è stato solo il dolore lancinante, ma la violenza con cui ha sempre fatto ogni cosa.
    L'ostetrica mi taglia: sento amle anche se mi dice che ha fatto l'anestesia e poi nasce Elisa. la prendono subito i pediatri, la portano di là: ho apura che stia male. Intanto il medico mi schiaccia la pancia per far uscire la placenta, un altro dolore assurdo e poi il calvario dei punti. l'ostetrica che cerac di sorridermi, di acacrezzarmi, ma io sono sfatta,, piango e tremo. Quando finisce la sutura, il giencologo se ne va e mi dice "Anche se alla fine si è lascita troppo andare un 7 glielo possiamo dare!", rivolto a mio marito. Brutto stronzo di merda! vorrei urlargli, ma non ho forza, piango e basta. L'ostetrica chiede a una ragazza di farmi portare la bambina, mi dà la mano e mi dice che Elisa sta bene, l'hanno solo aiutata un attimino perchè aveva sofferto un pochino per le contrazioni troppo intense. Arriva Elisa, in braccio a una giovane ostetrica che me la mette vicino. L atocco appena, piango di nuovo perchè avrei voluto avere molta più forza per stringerla a me. Per fortuna le ostetriche mi aiutano, la più giovane resta lì con me, mi consola, mi fa vedere com'è bella Elisa, mi rassicura che sta bene e dopo emzzora riesco ad avere la forza di attaccarla al seno.Quello è stato lunico momento bello. Non ho potuto mai raccontare sino in fondo tutto, perchè i miei, i suoceri, le amiche, tutte a dirmi che era andato tutto ben, che Elisa era bellissima, che in mangiagalli sono bravissimi. Mai più! Ho capito perchè qualche mia amica, che credvo naturalista esasperata, erano andate a partorie altrove, una addirittura in un'altra città... E penso che anche se mi avessero fatto l'epidurale, comuqnue la violenza insita in quelel visite e in quelel spinte, sarebbe rimasta scolpita dentro di me. Grazie per aver potuto raccontare,piango ma mi sento un pochino liberata.

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  5. Ciao cara, forse è andata persa la seconda parte del tuo commento. A quando potrai...

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  6. Rientra dopo un quarto d'pora, si scusa, mi dice che ha molto da fare, che ha avvisato il medico. Dopo mezz'ora circa arriva il medico (amico del mio gine, mi aveva assicurato il mio gine che avevo chiamato a casa) mi dice "Cosa c'è di così drammatico, vediamo!" Si infila un guato e mi visita senza troppi complimenti. Un dolore allucinante, l'ostetrica che gli dice di aspettare che mi passi la contrazione, ma lui esclama "E' sugli otto, aumentiamo ancora un po' la perfusione e partorisce". Esce con l'ostetrica, che dalla faccia mi sembrava scocciata col medico, e li sento discutere. Poi rientra l'ostetrica smanetta sulla pompa della flebo, io la supplico di togliermela, lei mi dice che l'ossitiocina è una scelta del medico, si ferma con me, fa quello che può, ma io sono fuori di etsta con le contrazioni che non mi danno tregua, uan via l'altra. Urlo e lei mi dice "Hai ragione, ma cerca di rilassarti, almeno tar l'una e l'altra." Io le chiedo di nuovo di chiamare l'anestesista, urlo, lei di nuovo esce, ma quando rientra mi dice che è impegnato su due cesarei. DDopo pochissimo la vedo guardare preoccupata il monitoraggio, mi fa mettere a carponi con la scusa che il bimbo si ossigena meglio, esce, torna col medico, il quale mi fa mettere in posizione ginecologica, mi rivisita, solito dolore allucinante e dice che sono completa, che posso spingere e a lei di prepararsi. Vedo frenesia, il gionecologo mi urla di spingere, l'ostetrica si mette lei davanti a me, cerca con voce più calma di dirmi cosa devo fare, mi chiede se sono più comoda puntando i piedi sul letto, ma io grido dal male e il ginecologo inizia a spingermi sulla pancia, prima con una mano, poi con tutto il peso del suo corpo. Mi sento morire, l'ostetrica un po' dice al gonecologo di smetterla, di provare a farnmi spingere da sola, ma io non riesco e allora di nuovo il ginecologo spinge lui .Poi mi mi tagliano e nasce la bimba, presa subito dai neonatologi che devono controlalrla. Io sono esausta, mi sento letetralmente violentata, non riesco nemmeno a preoccuparmi troppo della bambina, poi il ginecologo mi strizza violentemente la pancia per fare uscire la placenta, mi pulisce l'utero facendomi un male pazzesco e mi sutura, continuando a lamentarsi eprchè mi agito. Ho sentito un dolore assurdo continuo, nella spremitura della pancia, nella pulizia, nei punti. Quando il giencologo è uscito l'ostetrica si è avvicinata a me, mi ha accarezzato, mi ha spiegato che adesso mi avrebbero portato la piccola, che capiva che era stato molto duro per me. POi è arrivata la bimba con un'ostetrica più giovane e mi ha aiutata a tenerla vicino, poi ad attaccarla al seno: quello è stato il momento più bello, in cui mi sono sentita di partorire veramente. Il resto uno stupro vero e proprio, indicibile, perchè tutti intorno a dirmi "Che bella la bimba, dai in fondo è andato tutto bene, qi sono bravi, si vede che era necesario fare così"
    Poi ho capito che non era affatto necessario, che quella flebo potevano non mettermela, che potevano non schiacciarmi la pancia, e così via.
    Adesso ho capito perchè due mie amiche se ne sono andate apartorire altrove, io le credevo naturaliste a oltranza invece era proprio questo che volevano evitare. Devo solo ringraziare il cielo che Elisa è davevro splendida e che l'allatatmento è sempre andato benissimo, con piacere di entrambe. Grazie per avermi permesso di raccontare senza censure

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  7. Ciao cara, ho recuperato la seconda parte del commento, blogspot è una ciofeca (!!!).
    Pubblicherò in un post nei prossimi giorni.

    Troppa, troppissima fretta, e dare voti a una donna che partorisce mi sembra fuori luogo... Ti mando un abbraccio forte e un bacione,
    e ti auguro una splendida ripresa, tante passeggiate e tanti sorrisi della tua Elisa.

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  8. non ho capito bene cos'è successo perchè il voto era nella versione "mangiata",in questa nella fretta di riscriverla l'ho saltato, scusa ma tra una poppata e l'altra non ho molto tempo da dedicare alla scrittura, leggo molto perchè ho bisogno di confrontarmi con le storie di altre mamme, complimenti per il bel blog.

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  9. "Tutto si sarebbe potuto svolgere con più calma, con maggiore consapevolezza e serenità, come era successo la prima volta." Mah. Non è mica detto, in verità. Capisco la fiducia nela propria esperienza, capisco anche che a volte - in alcuni casi, spesso - i medici possono essere autoritari, poco comprensivi e privi di tatto. Però, sarebbero sempre gli esperti: pretendere di sapere cosa "sarebbe successo" non dando retta al medico mi pare un po' eccessivo.

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