domenica 13 giugno 2010

la vera vittoria sei tu

Va bene, ci provo. Il mio rapporto con il parto è oscuro, non l'ho superato, e a volte nemmeno la gioia della nascita del piccolo Alessandro mi è bastata per farmene una ragione.

Credo di riuscire a parlarne adesso proprio perché ho raggiunto una sorta di precaria pace, decidendo, nella seconda gravidanza, per il TC.

L'inizio era dei più incoraggianti. L'apprensione c'era, come per tutte le primipare, suppongo. Ma non mi divorava. E avevo seguito un corso preparto che mi aveva dato sicurezza. Troppa? Non credo. Avevo letto libri sul parto naturale, speravo di farcela, ma... avevo anche ottenuto l'idoneià all'epidurale, pur augurandomi di non ricorrere ad essa e di riuscire ad applicare per il meglio i consigli di un'ostetrica che stimavo molto.
Alex è oltretermine. Entro alle 8,30 in ospedale per il monitoraggio, mi trattengono per carenza di liquido amniotico e mi inducono il parto.

La prima applicazione di gel è sufficiente. Il travaglio parte. Alle 11 le contrazioni sono regolari. Consumo il pranzo dell'ospedale fra l'una e l'altra. Proseguo in sala travaglio fino alle 15, ci impiego parecchio ad appianare il collo dell'utero e ad iniziare la dilatazione. Sono disturbata dall'apparecchio del monitoraggio, che mi impedisce i movimenti, ma almeno vedo il battito del cuoricino del piccolo, e la cosa mi conforta. Le contrazioni si fanno più sensibili e ravvicinate. Mi portano in sala parto verso le 17. Uso la respirazione, uso la voce, un "aaaaaahhhh" prolungato che mi aiuta a controllare e accompagnare il picco del dolore. Mio marito mi preme con le mani dietro alla schiena, mi sostiene.

Comincio a toccare con mano i miei limiti. Ogni tanto perdo il respiro e il ritmo. Mi dicono che sono a 3 cm (solo???). Decido di chiedere l'epidurale. Ho però la brutta sorpresa di apprendere che non potrò averla, perché gli anestesisti sono in sciopero. Tralascio le mie forbite espressioni alla ferale notizia! Onde evitare che strozzassi qualcuno, non a caso hanno mandato mio marito come ambasciatore, e debitamente istruito nel dirmi: sono solo sulle urgenze, non puoi toglierli a chi ha bisogno, ti pare? Nonostante tutto, sono altruista. Torno al mio originario sogno di parto naturale, che sta diventando grado a grado più simile all'incubo. La qual cosa è peggiorata dall'ossitocina che mi mettono in vena per accelerare la dilatazione troppo lenta.

Dalle 18 alle 21, supportata da un'eccezionale ostetrica, in qualche maniera faccio fronte al travaglio.
Non lo immaginavo. Non lo sapevo. Nemmeno nelle peggiori rappresentazioni mentali che mi ero fatta il dolore era così atroce. E' come morire. E resuscitare per morire di nuovo. Un supplizio infernale non potrebbe essere meglio studiato. Non ce la faccio. Non ce la posso fare. Comincio a gridarlo a mio marito. Gli grido anche che non voglio più figli, che non voglio QUESTO figlio, che odio questo figlio... Piccole ferite, una per ogni contrazione, al cuore prima che al corpo. Appena sento il dolore rinnovarsi e crescere, prima viene la paura, paura cieca, poi la disperazione.

L'ostetrica cerca di riportarmi in me. Ma varco il punto di non ritorno. Dalle 21, perdo ogni controllo, smetto di seguire il mio parto e divento carne passiva in preda ad una sofferenza che mi fa impazzire. Urlo e basta. Urlo per cinque ore e passa. Nessuno mi fa tornare indietro. La bravissima ostetrica, mio marito, devono rinunciare. La mia voce, agghiacciante, fa rabbrividire la notte delle altre mamme in sala travaglio. Una, che incontrerò il giorno dopo, dirà: "Ma chissà chi era quella donna che urlava, sembrava che la stessero squartando. Invece non era così terribile". Mentirò. "Dirò: sì, chissà chi era?" Invece saprò di essere io. E che ERA terribile.

Qualcosa si è rotto dentro di me in quelle ore. Per sempre, temo.
Non sono più guarita, per mesi. Per due anni. A scapito del mio secondogenito, che nascerà di TC proprio per scampare ciò che mi ha tanto logorata.
Sono stanca, immensamente stanca... non voglio più indagare, non voglio più tormentarmi.

Un dubbio sottile, però, mi resta. Il trauma sarebbe stato superato, se DOPO il buio di quelle ore la sfortuna non avesse chiuso la partita? Mi sarei riscattata?

... Infatti, coadiuvata dalla dilatazione manuale dell'ostetrica per l'ultimo centimetro, arrivo alla fase espulsiva. E nelle spinte, in qualche modo esco dal buio, mi afferro al mio bambino, al pensiero che mio marito ha visto la sue testa fra le mie gambe, allo sforzo che sovrasta l'insensatezza del dolore.

Mio marito esulta, dice: "Ci siamo quasi, amore! E' bellissimo, vedo la testina, ce l'hai quasi fatta." L'ostetrica frena i nostri entusiasmi.

Alex è male incanalato. La testa preme contro il mio coccige; è come... "storto", e ad ogni spinta il battito scende. La situazione non è gravissima, non richiede l'anestesia totale e l'intervento immediato. Ma è compromessa. E per salvaguardare il benessere del piccolo finisce così. Cesareo d'urgenza, con spinale.

Mentre mi preparano e mi portano in sala operatoria, non mi sento triste. Non mi sento dubbiosa per questa scelta. In altri tempi, avrebbero tagliato e usato il forcipe; chissà... fors'anche in un altro ospedale, con la ventosa, avrebbero fatto scelte diverse. Ma io sono contenta di questa, la scelta più sicura per mio figlio.

Sono le 3 del mattino.

L'istante in cui la spinale comincia a fare effetto, è la salvezza, è il sollievo, è il sopirsi di ogni angoscia.

E' quasi bello, sentire che frugano dentro di me per cercare il mio piccolo tesoro.

Dopo l'operazione, i disagi sono ricondotti entro i confini della ragionevolezza sopportabile.

E finalmente, il giorno successivo, mio marito mi porta un fagottino e me lo appoggia nell'incavo del braccio. E' minuscolo, si lecca le labbra, mi guarda con occhi d'indistinto grigio-blu.

E' amore a prima vista. Per tutti e due.

Benvenuto Alessandro!

Per colpa di quel travaglio mi sento sconfitta, ferita. Ma la vera vittoria, la vera medicina, sei tu, cucciolo mio...

Maddalena (post originale)

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